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Dall'idea alla realtà

Cristina, naturalmente mamma con l’HIV

Dopo la diagnosi di HIV, tutto quello che avevo costruito sembrava perdersi: la rete di amici, la casa, il dottorato… era tutto difficile. Ma avevo gli strumenti per farcela, nonostante non avessi ancora compiuto 30 anni. Dopo aver toccato momenti di grande fragilità, pian piano, è iniziata la ripresa, con difficoltà, ma con la volontà di uscirne.

Ho allontanato le persone che non hanno capito, e a volte mi sono sentita sola, questo sì. Eppure, credo di essere una donna molto fortunata. La diagnosi di HIV non ha fermato la mia vita, anzi.

Ho avuto due grandi relazioni, di cui una con il papà della mia bambina. Abbiamo avuto sempre rapporti protetti, finché, grazie alle innovazioni terapeutiche, è esplosa l’era dell’U=U (Undetectable = Untrasmittable; in italiano, N=N Non rilevabile = Non trasmissibile ndr) e questo ha reso la nostra vita ancora più normale. Abbiamo immaginato e progettato la nostra vita con un figlio come una qualsiasi coppia.

Ho avuto una gravidanza meravigliosa, felice, florida, e una bambina sana.

Nella prima parte della gravidanza ho fatto parte del progetto della Professoressa Giacomet sui tassi di disturbi psicologici e psichiatrici nell’infezione da HIV, e devo dire che per me quello è stato un periodo pazzesco, faccio fatica anche a ricordare con lucidità: ero drogata dalla felicità. Non ho mai avuto paura, se non le paure e i dubbi di una donna qualunque: “sarò capace di essere una mamma, saprò amare mia figlia?

Quello che mi dispiace un po’, guardandomi indietro, è stato il silenzio siderale da parte della mia famiglia e di quelle che erano le mie amiche. Nemmeno una domanda. Questo mi ha ferita.

In generale, ci vorrebbe più sostegno alle donne con HIV che affrontano una gravidanza. È un percorso di per sé emotivamente molto impattante che dovrebbe essere sostenuto da un team multidisciplinare attento ai vari aspetti e a tutte le possibili implicazioni – anche psicologiche – che il pregiudizio porta con sé.

C’è ancora da fare, ma i progressi degli ultimi anni sono impressionanti… Io e la mia bambina siamo un esempio di come sia possibile riscrivere le storie, cambiare i finali, ridefinire gli orizzonti.

 

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