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Dall'idea alla realtà

Elisabetta, in prima linea per scovare l’infezione da HCV

Negli ultimi 5 anni il mondo è cambiato radicalmente, almeno il mondo in cui lavoro io. Mi occupo di epatite C, una delle cause principali di sviluppo di cirrosi e tra le maggiori cause di trapianto di fegato nel mondo. Fino a pochi anni fa esisteva un’unica terapia per questa malattia, una cura complessa, impegnativa a livello di effetti collaterali. Poi tutto è cambiato con l’arrivo dei farmaci antivirali diretti che hanno rivoluzionato la cura dell’epatite C perché garantiscono un tasso di risposta intorno al 99%, indipendentemente dalle caratteristiche del paziente, la terapia è di breve durata, orale, e la natura degli effetti collaterali permette di includere pazienti problematici o fragili, che prima non potevamo trattare.

Sulla base di queste evidenze, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato una campagna per l’eradicazione dell’epatite C dal mondo entro il 2030. Per farlo è necessario trattare tutti i pazienti, anche quelli che non sanno di esserlo. E nel caso dell’epatite C è facile purtroppo non rendersi conto dell’avvenuta infezione perché per anni è asintomatica. Questa caratteristica di infezione silenziosa, peraltro, è quella che non permette di avere un’idea precisa di quante siano le persone infettate. Da qui nasce l’idea del progetto che, sostenuto dal Fellowship Program, abbiamo portato avanti: condurre uno screening sulla popolazione del nostro ospedale per avere un’idea del possibile “sommerso”.

Abbiamo fatto il test ai parenti dei nostri pazienti e poi a tutti quelli che accedevano in ospedale per il pre-ricovero. Un piccolo campione, non rappresentativo della popolazione generale, che però ha dato un risultato che non si discosta poi molto da quello che sta emergendo in questi mesi, a seguito della campagna di screening nazionale voluta dal Ministero della Salute. Con il nostro progetto siamo stati dei precursori: oggi è chiaro che la strategia per sconfiggere l’HCV è sì quella dello screening ma la modalità per agganciare le persone deve essere diversificata, per esempio approfittando di vaccinazioni, di ricoveri, di visite mediche.

 

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